di Paolo Becchi su Libero, 15/08/2019


Possiamo trarre qualche insegnamento da quello che sta succedendo intorno a questa crisi politica dalla quale sembra impossibile uscire?

La prima considerazione da fare è che la politica, contrariamente a quello che si pensa, non è una scienza, ma un’arte. E l’arte più che di razionalità vive di emozioni, a volte anche poco o per nulla razionali. Ecco, si parla tanto delle più diverse forme della democrazia, ne possiamo aggiungere una nuova: la democrazia delle emozioni, che ti fa vivere una crisi di governo come se si trattasse di una partita di calcio. Nel caso specifico il gioco pare continuare perché l’arbitrio non è che non voglia ma proprio non può fischiare la fine della partita. Una situazione surreale.

L’attuale governo si fonda su un matrimonio politico – e siamo di nuovo alle emozioni – tra due forze molto diverse, ma entrambe “anti sistema”. Il rapporto si logora – inutile dire per colpa di chi, nelle separazioni la colpa non sta quasi mai da una parte sola – e una parte decide – d’improvviso, ma in realtà dopo molti dubbi – di divorziare. C’è una buona occasione da utilizzare. Perché non provarci? E allora ci prova.

E qui però le cose si complicano perché il divorzio non è consensuale. E quando non c’è consenso volano gli stracci con insulti da ambo le parti.

L’ARROCCO

Questo però è un matrimonio politico su cui si regge un governo, per sua costituzione, parlamentare e così quando si rompe qualcosa gli altri non stanno semplicemente a vedere. Ed è quello a cui abbiamo assistito: il “ritorno dei rimossi” avrebbe detto Freud. Renzi per il centrosinistra, Berlusconi per il centrodestra. Per poco più di un giorno sembrano risuscitare, per poco più di un giorno la Terza Repubblica torna a diventare la Seconda. Centro sinistra centro destra: i due calvi si contendono di nuovo l’uso del pettine. Ma si tratta di un fuoco di paglia.

Con una abile mossa Salvini si salva per un soffio sull’orlo del baratro: un governo di legislatura di centro sinistra tra M5S e Pd e rimasugli vari. Ma il problema – come bene ha sottolineato ieri il direttore responsabile Senaldi – è stato solo congelato. Perché il voto dell’altro ieri ha fatto capire a tutti che una maggioranza alternativa a quella attuale numericamente c’è – e forse potrebbe essere ancora più ampia – e di questo il Presidente della Repubblica non potrà non tener conto nel caso in cui Conte fosse sfiduciato. Appunto, la sfiducia… ma conviene davvero a Salvini non ritirarla come gli chiedono i grillini?

Il ferragosto sia una occasione per riflettere sulla prossima mossa: quella del cavallo non è risolutiva. A volte è utile l’arrocco.