di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero, 28/11/2017


Ormai tutti da destra a sinistra, sia pure con toni diversi, affermano che sia necessario riscrivere i Trattati. L’unico Movimento politico che però ha indicato una via praticabile è quello di Sgarbi e Tremonti che viene oggi pomeriggio battezzato ufficialmente a Roma, con una conferenza organizzativa all’Auditorium della Conciliazione e che potrebbe rivelarsi la sorpresa del «prossimo campionato». Vediamo perché, partendo però da una prima considerazione. Rivedere i Trattati non è una passeggiata lungo il Neckar. La procedura al contrario è estremamente farraginosa.

È vero che la revisione può essere proposta anche da un singolo Stato dell’Unione, ma poi la decisione se mandare avanti o meno il procedimento spetta al Consiglio europeo (composto dai capi di Stato e di governo di ciascun Paese membro).Se anche il Consiglio europeo desse il via libera, la stesura delle eventuali modifiche avverrebbe permano di una Convenzione composta – tra gli altri – dai rappresentanti di ciascuno Stato membro e da alcuni componenti della Commissione europea.

PERNACCHIE

Ammesso che si arrivi a conclusione dei lavori, e siamo nella sfera dell’impossibile, le modifiche dovranno essere infine approvate all’unanimità. Successivamente, ciascuno Stato membro dovrà a sua volta avviare il procedimento di ratifica secondo le proprie norme costituzionali. In pratica, ci fanno una pernacchia non appena presentiamo la proposta iniziale di revisione. E quand’anche facessero finta di prenderci sul serio, le nostre proposte di modifica verrebbero fermamente osteggiate durante i lavori.

Se le cose stanno così, ecco che diventa particolarmente interessante la proposta avanzata da Tremonti di un Protocollo ad hoc per l’Italia (cioè di un copioso documento in deroga ai Trattati) da approvarsi in sede europea esattamente come ha fatto lo scorso anno Cameron prima della Brexit. Un’ipotesi realistica e molto più fattibile di quella della revisione dei Trattati. Ci chiediamo, e chiediamo a Tremonti: la sua proposta potrebbe estendersi anche all’euro attraverso un’ulteriore «eccezione italiana» che riguardi anche la moneta unica?

Secondo noi sì. In Europa esistono Stati «la cui moneta è l’euro» e Stati «in deroga», cioè che fanno parte dell’Ue ma che non adottano l’euro. Questi, qualora ne facciano richiesta e rispettino alcuni vincoli di finanza pubblica molto stringenti, possono passare dalla condizione di Stati «in deroga» a quella di Stati «la cui moneta è l’euro» (artt. 139 e 140 Tfue – Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

L’ALTRO CASO

I Trattati nulla prevedono invece nel caso contrario, cioè se sia possibile passare dalla condizione di Stati «la cui moneta è l’euro» a Stati «in deroga». Nulla prevedono non significa che vietino un tale passaggio.

Del resto, anche alla luce delle regole generali di diritto internazionale contenute nella Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, è possibile per ciascuno Stato invocare l’impossibilità sopravvenuta, la quale farebbe decadere l’obbligo pattizio, compreso quello – riferendoci al nostro caso – dell’appartenenza dell’Italia all’euro, stante appunto l’impossibilità sopravvenuta per il nostro Paese di rispettare quei criteri economici e finanziari per continuare a farne parte. L’«eccezione italiana» di cui parla Tremonti potrebbe dunque, a nostro avviso, essere fatta valere proprio per l’euro.

Il problema non è andare a Bruxelles per cambiare i Trattati, molto più semplicemente imparando dagli inglesi, dobbiamo cominciare a fare in Europa quello che la Germania e la Francia da sempre fanno, e cioè il loro interesse. È venuto il tempo di cominciare a fare anche il nostro.